Cheikh Mohammed Ibn Al-Tâdilî.

L’umiltà, come si sa o dovrebbe sapere, ha origine dalla nostra completa dipendenza da Dio; deriva normalmente da questa consapevolezza un senso delle proporzioni sempre vigile, che ci impedisce e di sopravvalutarci e di sottovalutare gli altri. Ora non occorre evidentemente moderare tale virtù, bensì il suo possibile eccesso; e lo si modera mediante la virtù complementare, la veracità, la quale ci ricorda che nessuna virtù ha diritto ad avversare la verità, e conseguentemente ci incita a non sopravvalutare nessuno, né a sottovalutarci quando è evidente la gradazione dei valori. Un maestro di scuola si deve accorgere che un determinato fanciullo è più dotato di lui, ma non può credere di essere, quale maestro e adulto, più ignorante e di minor esperienza del fanciullo.

Analoga osservazione di addice alla sincerità, che consiste nell’essere quanto si esprime e nell’esprimere quanto si è; pure qui vi è una virtù che tempera l’errata interpretazione e l’eccesso, ossia la prudenza. Difatti la sincerità non ci costringe a svelare agli altri quello che li trascende o non li concerne, o che non è loro d’alcuna utilità, se non addirittura nocivo; in breve ciò che essi non desiderano conoscere se sono uomini retti. (…)

Se le espressioni ellittiche fossero facilmente comprese, diremmo volentieri che la virtù più grande è la verità: la verità in quanto è vissuta, non pensata soltanto, e che diviene in noi il senso del sacro e dell’adorazione.

Schuon, L’esoterismo come principio e come via, Mediterranee, Roma, 1984, pp. 125-126