Martin Lings

Il nome di Schuon precede, nel titolo dell’articolo, quello di Guénon vi­sto che si tratterà principalmente del primo; infatti abbiamo già dedicato un saggio soltanto a Guénon (1). Ma in teoria il loro messaggio non è che una sola e medesima cosa. Il tema essenziale delle loro opere è l’esoterismo, ossia l’aspetto interno della religione che Cristo ha riassunto dicendo “il Regno di Dio è dentro di voi”, o “cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto”.

Essi hanno inevitabilmente scritto anche sull’exoterismo, perché nonostante l’esistenza di taluni riti puramente esoterici, i principali riti obbliga­tori d’una religione che vengono eseguiti come exoterici dalla più parte dei fedeli, divengono esoterici quando sono compiuti dalla minorità esoterica. In altre parole, soggettivamente parlando, le aspirazioni della maggioran­za si limitano alla salvezza, mentre quelle della minoranza mirano addirit­tura alla santificazione. È vero che esistono numerosi gradi di santificazione e che l’esoterismo è costituito da cerchi concentrici, giacché “molti sono chiamati, ma pochi eletti”. Tuttavia tale questione non è affatto l’oggetto del nostro proposito, poiché Guénon e Schuon non hanno mai lasciato perdere di vista ai propri lettori che l’aspirazione spirituale, nel pieno senso della parola, può essere soddisfatta solamente con l’Identità Suprema, cioè con la realizzazione effettiva che il vero Sé non è altro che l’Uno, l’Assoluto, la Perfezione Infinita che chiamiamo Dio.

René Guénon e Frithjof Schuon – Cairo, 1938

Questi due autori sono d’accordo sull’essenziale, differiscono però ampiamente nella maniera d’esprimerlo. Di certo Guénon fu il pioniere e, da giovane, aveva già visto chiaramente che nell’uomo occidentale l’intelli­genza, in genere, era lontana dalla religione. Essa non partecipava più alle cose dello spirito; Guénon era quindi estremamente consapevole della ne­cessità d’esprimere le verità spirituali in modo da convincere gli uomini e le donne virtualmente dotati di un’intelligenza capace di giungere al solo oggetto in grado d’appagarli davvero, ossia la Realtà divina, l’Oggetto che giustifica l’esistenza dell’Intelligenza. Per pervenirvi in un mondo sempre più preda dell’eresia e delle pseudoreligioni, bisognava ricordare all’uomo del XX secolo la necessità dell’ortodossia, che presuppone anzitutto una Rivelazione divina, ma pure una Tradizione che ha mantenuto fedelmente ciò che il Cielo le ha rivelato. Ha ridato così all’ortodossia il suo significato autentico, rettitudine di giudizio che costringe l’uomo intelligente non sol­tanto a rigettare l’eresia, ma anche a riconoscere la validità delle altre fedi se esse poggiano sui due princìpi, Rivelazione e Tradizione.

Provvidamente Schuon si rivelò essere il complemento di Guénon.

La funzione di Guénon, in quanto pioniere, s’espresse, senza dubbio in maniera provvidenziale, con uno stile che richiama l’azione di un ar­ciere. Le sue formule colpivano come frecce, provenienti da un’incrollabile certezza per conficcarsi proprio al centro del bersaglio, nella stra­grande maggioranza dei casi. L’attrazione innegabile che esercita simile spontaneità spiega l’influenza considerevole che gli scritti di Guénon continuano a esercitare sui suoi lettori. Tale stile comporta, invero, un pericolo di semplificazione e perfino, in maniera inevitabile, che una o due frecce non raggiungano lo scopo.

Uno degli aspetti della differenza tra i due scrittori mi divenne palese a proposito d’una delle opere principali di René Guénon, Le Règne de la Quantité et les Signes des Temps. Difatti ebbi il privilegio d’essere la prima persona a leggere quel libro, che l’autore mi diede  capitolo dopo capitolo. Allorché fu terminato, mi disse: “Ora scriverò il testo definitivo”. Il testo finale, però, risultò quasi identico alla cosiddetta “minuta”. Quando Schuon redigeva il testo definitivo, invece, faceva in quell’occasione numerosi cambiamenti e non era nemmeno certo, come minimo, che anche tale testo non divenisse una brutta copia a profitto d’un testo ancor più elaborato. Non che gli fosse difficile scrivere, egli pure “lanciava frecce” a modo suo, ma non semplificava mai, era troppo consapevole dell’estrema complessità della verità su taluni piani e non era facilmente soddisfatto se non aveva dato conto di questa complessità.

In lui è caratteristico andare il  più lontano possibile incontro, sul loro terreno, a coloro di cui combatteva le opinioni. Le sue tesi, in altre parole, sono elaborate in guisa minuziosa, prevedendo tutte le obiezioni possibili, apprezzandone il valore e accantonandole.

In De l’Unité Transcendante des Religions, per esempio, tratta il problema dei missionari, in particolare quelli cristiani, giacché il libro concerne in primis l’Occidente moderno. Rende giustizia alla vita di sacrificio condotta dalla maggior parte dei missionari e ammette che in alcuni casi essa ha soggettivamente un valore mistico. Riconosce che ci sono relativamente poche circostanze in cui a un individuo un’altra religione conviene più di quella del mondo dov’è nato ed è stato educato. Ma ci ricorda pure, cito i suoi termini precisi: “…si può passare da una forma tradizionale a un’al­tra senza essere convertiti… ” (2) e aggiunge che ciò può accadere — riprendo di nuovo le sue parole — “… per ragioni d ‘opportunità esoterica, quindi spirituale… “. Non fornisce nessun esempio, e prosegue. Tuttavia ci fermeremo qui un istante, perché i primi esempi che vengono in mente sono appunto quelli dei due uomini di cui stiamo parlando. Tanto Guénon, quanto Schuon, sono stati cresciuti come cristiani e ambedue, in un deter-minato momento della loro vita, sono passati dal Cristianesimo all’Islam.

Lo Shaykh Ahmed Al-Alawî

Sulle prime tale “opportunità spirituale” potrebbe, in entrambi i casi, sembrare che sia la presenza d’un grande Maestro spirituale nella religione cui si sono volti, e l’assenza d’un equivalente nell’altra; sta certamente in ciò la vera spiegazione dei cambiamenti avvenuti per altri, in seguito, poi­ ché sebbene Schuon abbia avuto molti discepoli d’origine musulmana, essi furono per lo più di provenienza cristiana o ebraica. A guardare più dappresso, però, per gli stessi Guénon e Schuon, questa spiegazione non è convincente. È vero che Guénon ha ricevuto un’iniziazione sufica da un rappresentante d’un eminente Shaykh sufico egiziano che non incontrò mai, ma cui dedicò, poi, il suo libro Le Symbolisme de la Croix; è altrettanto vero che Schuon divenne discepolo del grande Shaykh algerino Ahmed al-Alawȋ, del quale fu senza dubbio il successore. Ma nel suo a articolo “Note sur René Guénon” (3), Schuon espresse chiaramente che Guénon era, a parer suo, un uomo del tutto eccezionale, che non aveva bisogno di seguire una Via né una guida, aveva bensì da trasmettere un messaggio d’importanza universale per l’umanità, e necessitava per sé d’uno stato che fosse in armonia con quel messaggio. Quando si legge tale articolo, del resto, si  ha l’impressione che per certi versi Schuon scriva per se stesso. Egli aveva, dal canto suo, da consegnare non solo un messaggio analogo a quello di Guénon, ma era anche un Maestro spirituale nato, e per ricoprire questa funzione occorreva che divenisse un anello d’una catena iniziatica d’un ordine esoterico autentico. La Via per la quale era qualificato in modo eminente come guida spirituale era, più esattamente, una Via di conoscenza anziché una Via d’amore. In altri termini era appunto la Via che il messaggio di Guénon aveva come fine ultimo; Via che, a dir poco, diverge assai profondamente dal misticismo cristiano dei nostri giorni. Siamo, insomma, alla presenza di due uomini consapevoli, fin dalla loro prima giovinezza, d’essere quaggiù degli straieri che hanno l’imperiosa necessità di trovare la condizione meno ostile possibile che può offrir loro quel territorio straniero che è il mondo. Non ho la pretesa di tracciare, per ciascuno di essi, con quest’asserzione e in ciò che precede una linea esatta di riflessione, si può dire però che quanto neppure loro avrebbero previsto, lo sarebbe stato dalla Provvidenza; circa lo stato voluto dal Cielo, abbiamo il senno, riscontrato nei fatti, di vedere che per quanto concerne le tre religioni mondiali, più aperte ai cercatori venuti dall’esterno dell’Induismo e del Giudaismo, pare che il Cielo abbia dato, in genere, l’Oriente al Buddhismo e l’Occidente al  Cristianesimo; da parte sua il Corano ricorda ai musulmani che essi  sono “una comunità della Via di mezzo”. È davvero chiaro che l’Islam è una sorta di ponte tra l’Oriente e l’Occidente, e ciò favorisce l’ universalità del messaggio che rappresenta. Inoltre il Sufismo, aspetto interno dell’Islam, è soprattutto una Via di conoscenza e il Corano medesimo è in modo implacabile universalistico, in una misura immensa che supera ampiamente la capacità di comprensione del musulmano comune.

Questi due cambiamenti di forma religiosa, al pari di quelli dei discepo­li dello Schuon, non possono essere considerati “conversioni” nel significato ordinario della parola, giacché la religione d’origine rimane amata e venerata alla stessa stregua della nuova religione adottata. Possibilità si­mili eccedono di gran lunga l’ambito dei missionari, che fu il nostro avvio e cui ora torniamo. La nostra adesione spontanea alla verità espressa nel titolo di Schuon De l’Unité transcendante des Religians ci fa sperare argomenti emananti direttamente da tale verità e Schuon non delude. Quanto ai tentativi di convertire Indù al Cristianesimo, egli scrive: “…ci si rivolge a Brahmani per esigere da loro l’abbandono totale d’una tradizione più volte millenaria, di cui innumerabili generazioni hanno fatto l’esperienza spirituale e che ha generato fiori di sapienza e di santità fino ai nostri giorni; le argomentazioni prodotte per giustificare quell’esigenza inaudita non contengono tuttavia nulla che sia logicamente concludente, né proporzionato all’ampiezza dell’esigenza stessa; le ragioni che avranno i Brahmani per restare fedeli al proprio patrimonio spirituale saranno quindi infinitamente più solide per loro di quelle con cui si vuole condurli a cessare d’essere ciò che sono. La sproporzione, nell’ottica indù, tra l’ immensa realtà della tradizione brahmanica e l’insufficienza degli argomenti religiosi contrapposti è tale che questo dovrebbe bastare per provare che, se Dio volesse assoggettare il mondo intero a una sola religione, gli argomenti di questa non sarebbero così deboli, né quelli di certi cosiddetti “infedeli” così “forti.” (4) ; e la  refutazione  di Schuon della pretesa che l’Islam sia una pseudoreligione, è altrettanto incontestabile: “…che Dio abbia potuto permettere a una religione che sarebbe stata inventata da un uomo di conquistare una parte dell’umanità e di mantenersi, per oltre un millennio, sul quarto del globo abitato, ingannando l’amore, la fede e la speranza d’una moltitudine di anime sincere e ferventi, anche ciò è contrario alle Leggi della Misericordia divina o, in altri termini, a quelle della Possibilità universale” (5).

Il libro da cui sono estratte le due ultime citazioni, De l’Unité Transcen­dante des Religions, venne pubblicato in francese poco più di due anni prima della morte di Guénon; questi l’aveva in grandissima stima, specialmente il capitolo: “Nature particulière et universalité de la tradition chrétienne“, che può esser considerato come integrante alcuni vuoti lasciati dallo stesso Guénon.

Il titolo di un altro libro di Schuon, L’Ésotérisme comme Principe et comme Voie, riassume, si può dire, l’insieme dei suoi scritti. Per riepilogare quelli di  Guénon, bisognerebbe modificarne il titolo in “L’Ésotérisme comme Principe en vue de la Voie”. Guénon non ha mai trascurato la Via, e si potrebbe dire  davvero che uno dei suoi temi principali fosse il “cammino verso la Via”,  ma non scrisse mai direttamente sull’argomento della Via spirituale, mentre Schuon l’ha fatto essendo lui stesso un Maestro spirituale con la responsabilità di numerose anime; i suoi scritti sono quindi ricchi di osservazioni psicologiche della più grande importanza. Jung, non senza sagacità, fece notare una volta che l'”anima è l’oggetto della psicologia moderna. Essa, purtroppo, è anche il soggetto”. Ma è lecito dubitare che Jung sia stato consapevole di quanto questa considerazione condannasse la suddetta scienza moderna. Nelle civiltà tradizionali s’ammetteva che l’anima potesse essere studiata solo a principiare da un piano che la tra­scenda, movendo cioè dal piano spirituale. Le autorità riconosciute per far ciò erano i sacerdoti. Allorché Schuon parla dell’anima accettiamo subito quel che dice, poiché abbiamo la certezza che parla a cominciare da un piano che trascende l’ambito psichico.

Thomas Yellowtail, uomo di medicina Crow

Quando andò a vivere nell’Indiana, ricevette ogni anno la visita d’un uomo di medicina Crow, Thomas Yellowtail. Schuon mi fece notare un tempo che talune persone potevano trovare sorprendenti queste visite re­golari, la cui spiegazione però era molto semplice. Mi disse alla lettera: “Yellowtail è profondamente cosciente d’essere sacerdote per natura, e presagisce la medesima consapevolezza in me nonostante le numerose differenze esteriori che esistono tra noi”.

Devo menzionare qui, senza aver il tempo di soffermarmi, che uno degli aspetti notevoli della penetrazione psicologica di Schuon è messo in evidenza nel suo affascinante libro Castes et Races. In qualche modo è doppiamente avvincente a cagione del carattere comunicativo del fascino peculiare di Schuon, fascino per le opposizioni e le corrispondenze esistenti tra le caste e per la ricchezza delle sfumature che rivelano le razze. Esso comporta un terzo capitolo, ugualmente appassionante, sull’arte, soggetto che, quando non è in primo piano nei suoi scritti, vi si trova spesso come sfondo, dato che anch’egli era artista in quanto pittore e poeta. Durante la prima metà del XX secolo non dobbiamo riferirci a Guénon, bensì a Coomaraswamy, per quel che concerne la dimensione artistica. Ma benché questa fosse stranamente assente negli scritti di Guénon, bisogna ricordare con una gratitudine immensa tutto ciò che ha scritto sui simboli, il simbolismo essendo il linguaggio dell’arte sacra. Un giorno Schuon mi disse: “Sur le symbolisme Guénon est imbattable”. Avevamo l’abitudine di parlare sempre in francese, e quando me lo disse batté il pugno sul tavolo a ogni sillaba della parola “imbattable”. Schuon chiede un impegno totale nella Via: “La conoscenza salva solamente a condizione d’impegnare tutto quel che siamo… La conoscenza metafisica è sacra. È proprio delle cose sacre esigere dall’uomo tutto ciò che è” (6). Cos’è questo tutto? La risposta a tale domanda è il tema d’un capitolo di L’ Ésotérisme comme Principe et comme Voie, dal titolo “La triple nature de l’homme“; una gran parte degli altri suoi scritti si riferiscono a questa tri­plice totalità. In sintesi si tratta di conoscere, volere e amare la Realtà divi­na. Dal momento che la Via richiede una coscienza perpetua di quella triade, Schuon la formula sovente come comprensione, concentrazione e conformità. Le facoltà corrispondenti sono l’intelligenza, la volontà e l’anima o il carattere, ed esse si collegano alla Verità, alla Via e alla Virtù, ossia alla dottrina, al metodo e alla morale. Potremmo obiettare che l’intelligenza e la volontà sono entrambe facoltà dell’anima. Ma nell’uomo, qual è stato creato e quale cerca di divenire, esse trascendono infinitamente il piano umano: solo il piano inferiore dell’ intelligenza entra nella sostanza psichi­ca e nel piano più esteriore della volontà che è umano nel significato limi­tato del termine. L’intelligenza è un raggio di luce sorto dalla Verità divina e la volontà si radica nel divino Sé. Uno dei primi problemi della Via è che, per l’uomo profano, l’intelligenza e la volontà sono quasi gli strumenti de stinati a soddisfare i desideri dell’anima. Essi sono i servi di cui quest’ultima è il padrone. La Via comincia con la comprensione che ormai il sedicen­te padrone deve seguire le direttive dei servi d’un tempo. Non è facile e, fin dall’inizio, gli elementi psichici sono divisi tra loro, i più si sottomettono assai bene al cambiamento — altrimenti non si tratterebbe di Via — ma gli altri, a gradi diversi, non si rassegnano o restano indecisi.

Comprensione, concentrazione, conformità: l’anima deve conformarsi mediante la virtù. Però essa conserva un certo potere giacché, senza la sua conformità, senza il suo amore, senza l’assimilazione delle qualità dell’Amato, partecipandovi attraverso le virtù, nessun progresso spirituale è possibile. Un intero capitolo de L’Ésotérisme comme Principe et comme Voie è intitolato “Les vertus dans la Voie“.

Guénon evita il problema morale, senza dubbio poiché era cosciente dell’ esistenza di una vasta reazione, nella propria generazione, contro un moralismo inintelligente. Schuon, a modo suo, si ferma su tale argomento, senza fare del moralismo, insistendo molto sull’importanza della bellezza interiore della virtù. Egli chiede ai suoi discepoli la bellezza dell’anima quale base del tutto obbligatoria, senza cui l’intelligenza e la volontà non possono essere operanti come converrebbe. Cita continuamente nei suoi scritti e nelle sue esposizioni il detto platonico “la Bellezza è lo splendore del Vero”, nel senso che a contrario, se questo splendore manca, ciò significa  che la Verità non è presente in pieno.

Vorrei ora porre in rilievo una caratteristica particolare di Schuon, che si potrebbe chiamare “il buon senso spirituale”. Credo d’averlo inteso va lersi in alcune occasioni proprio di questa espressione.

Il passo che segue ne è un esempio tipico: ” … non è possibile sottomet­tersi a un ideale im pegnativo — né cercare di superarsi in vista di Dio — senza portare nell’anima quello che gli psicanalisti chiamano ‘complessi’; questo equivale a dire che ci sono ‘complessi’ interamente normali nell’uomo spirituale o anche soltanto nell’uomo dabbene, e che, viceversa, l’assenza di ‘complessi’ non è, a dir poco, necessariamente una virtù” (7).

Questo estratto ne è un altro esempio in quanto esprime un aspetto di ciò che Schuon cerca di fare coi suoi libri. Il fine è il medesimo di quello di Guénon, che l’avrebbe interamente approvato. Ma illustra anche una dif­ferenza, visto che proviene chiaramente dalla penna di Schuon e non dalla sua: “… va detto che i progressisti non s’ingannano del tutto quando reputano che ci sia qualcosa, nella religione, che non convince più; in realtà l’argomentazione individualistica e sentimentale con cui opera la pietà tradizionale non fa quasi più presa sulle coscienze, ed è così non solo per la ragione che l’uomo moderno è irreligioso, ma anche perché gli argo­menti religiosi abituali, non andando a sufficienza in profondità  nelle cose e non avendo d’altronde avuto un tempo necessità di farlo, sono un po’ logori psicologicamente e non rispondono più a certi bisogni di causalità. Un fenomeno paradossale è che le società umane, se da un canto degenerano col tempo, dall’altro, invecchiando, accumulano esperienze, seppure mischiate a errori; di ciò dovrebbe tener conto una “pastorale” preoccupata d’essere efficace, non attingendo direttive nuove nell’errore comune, ma facendo uso invece d’argomenti di un ordine superiore, intellettuale e non sentimentale; in tal modo si salverebbero almeno alcuni — e un numero superiore a quanto non si sarebbe tentati di supporre — mentre con la “pastorale” scientista e demagogica non si salva nessuno” (8).

Si può pure citare, a titolo d’esempio del buon senso realistico di Schuon, un altro testo, però converrebbe meglio allora parlare di buon senso cele­ste, giacché qui come altrove si ha sempre di mira la sfera celeste: “Dob­biamo raffigurarci un cielo d’estate pieno di felicità, poi degli uomini sem­plici che lo guardano proiettandovi il loro sogno dell’aldilà; dopo occorre immaginare che si potrebbe condurli nell’abisso nero e glaciale — dal si­lenzio agghiacciante — delle galassie e delle nebulose. Troppi vi perde­rebbero la fede; è proprio ciò che succede a causa della scienza moderna, ai dotti come alle vittime della volgarizzazione. La più parte degli uomini non sa — e se potessero saperlo, perché si chiederebbe loro di credere? — che quel cielo blu, illusorio in quanto errore ottico e smentito dalla visione dello spazio interplanetario, è tuttavia un riflesso adeguato del Cielo degli Angeli e dei Beati, e che dunque, nonostante tutto, quel miraggio blu dalla nube d’argento aveva ragione e avrà l’ultima parola; meravigliarsene equi­varrebbe ad ammettere che siamo per puro caso sulla terra e che vediamo il cielo come lo vediamo” (9).

Ci si potrebbe stupire che Schuon, il quale contrariamente a Guénon aveva una funzione di Maestro spirituale, abbia scritto nell’insieme molto più di quanto non fece Guénon in merito a ciascuna religione, ai suoi aspetti esteriori quanto a quelli interiori. Lo fece in parte per l’insegnamento dei suoi discepoli, poiché una Via di conoscenza nel senso completo del ter­mine implica una certa comprensione dell’economia divina delle cose. Dico “in parte”, considerato che lo fece anche per la propria soddisfazione. Un giorno mi disse: “Se esistesse una religione che non amassi, non avrei affatto pace finché non l’ami”. Le religioni facevano parte, per lui, dei gran­di segni di Dio, ognuna essendo mirabile; s’aspettava pertanto il medesi­mo atteggiamento dai suoi discepoli nella misura delle loro capacità.

Nondimeno è in generale poco noto che egli scrivesse anche testi esclusivamente per i suoi discepoli e non col fine di pubblicarli, quantunque certi passi siano stati incorporati in alcuni dei suoi ultimi libri. Quei testi, circa milleduecento, di cui la maggior parte d’una sola pagina, possono essere considerati come appartenenti al centro più interno del Sufismo e per estensione a tutti i centri spirituali più intimi.

Posto che ogni vero centro ha il suo irradiamento, darò tuttavia qui due esempi.

Il primo, del quale citerò solo il nucleo centrale, è intitolato “L’enchaînement des quintessences“: “La quintessenza del mondo è l’uomo. La quintessenza dell’uomo è la religione. La quintessenza della religione è la preghiera. La quintessenza della preghiera è l’invocazione. É questo il signifi­cato del versetto coranico: ‘e il ricordo di Dio è più grande’ (10). Se l’uomo avesse solamente qualche istante di vita, non potrebbe più fare altro che invocare Dio. Soddisferebbe così a tutte le esigenze della preghiera, della religione, della condizione umana”.

Il secondo testo ha per titolo “Les deux grands moments“, e con esso terminerò la mia esposizione: “Ci sono due momenti nella vita che sono tutto: il momento presente, in cui siamo liberi di scegliere quel che vogliamo essere, e il momento della morte, in cui non abbiamo più nessu­na scelta e dove la decisione spetta a Dio. Ora se il momento presente è buono, la morte sarà buona; se siamo adesso con Dio — in questo presente che si rinnova senza posa, ma che resta sempre il solo momento attuale — Dio sarà con noi al momento della morte. Il ricordo di Dio è una morte nella vita; sarà una vita nella morte” (10).


Note

1. Questa esposizione riprende il testo d’una conferenza tenuta alla Temenos Academy, il 14 luglio 1999, di fronte a un uditorio che non aveva familiarità con gli scritti dei due uomini. La traduzione francese del testo della conferenza dedicata a René Guénon è apparsa su Connaissance des Religions, gennaio-giugno 1995, nn. 41-42.

2. De l’Unité transcendante des Religions, Paris, Gallimard, 1968, p. 96 (trad. it. Unità trascendente delle Religioni, Roma, Edizioni Mediterranee, 1980).

3. Cahier de l’Herne René Guénon, Éditions de l’ Herne, 1985.

4. De l’Unité.. . , cit., p. 30.

5. lbid., p. 36.

6. Perspectives spirituelles et Faits humains, Paris, Maisonneuve et Larose, 1989, pp. 185-186 (trad. it. Prospettive spirituali e fatti umani, Roma, Edizioni Mediterranee, 2011).

7. L’Ésotérisme comme Principe et comme Voie, Paris, Dervy, 1975, p. 122 (trad. it. L’Esoterismo come Principio e come Via, Roma, Edizioni Mediterranee, 1984).

8. Forme et Substance dans les Religions, Paris, Dervy, 1975, p. 204 (trad. it. Forma e Sostanza nelle Religioni, Roma, Edizioni Mediterranee, 1984).

9. Comprendre l’Islam , Paris, Le Seuil, 1976, p. 135 (trad. it. Comprendere l’Islam, Milano, Archè, 1978).

10. La parola ” ricordo” traduce il termine arabo dhikr nel significato d”‘invocazione” o di “menzione”.

11. Les Perles du Pèlerin, Paris, Le Seuil, 1990, p. 61.


[Pubblicato in francese su Les Dossiers H Frithjof Schuon, L’Âge d’Homme, 2002.]

Marting Lings (1909-2005), già conservatore dei manoscritti orientali al British Museum, ha conosciuto Frithjof Schuon nel 1938 a Basilea e René Guénon nel 1939 al Cairo, dove fu costretto a rimanere dallo scoppio improvviso della seconda Guerra mondiale; rientrerà in Europa solo alla fine del 1951. Profondo conoscitore di Shakespeare (sul quale ha scritto Shakespeare in the Light of Sacred Art, London, G. Allen & Unwin, 1966), è anche autore d’importanti opere sull’Islam e sul Sufismo, come: A Sufi Saint of the Twentieth Century, London, G. Allen & Unwin, 1961 (tr. it. Un santo Sufi del XX secolo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1994 ); What is Sufism, London, G. Allen & Unwin, 1975 (tr. it. Che cos’è il Sufismo, Roma, Edizioni Mediterranee, 1978); Muhammad, His Life based on the Earliest Sources, London, G. Allen & Unwin, 1983 (tr. it. Il Profeta Muhammad. La sua vita se­condo le fonti più antiche, Trieste, Società Italiana Testi Islamici, 1988). Nel dicembre 2002 in una trasmissione alla Radio Suisse Romande, ha raccontato in cinque puntate la propria vita, ripercorrendone il cammino spirituale.