Quando parliamo dell’uomo pensiamo anzitutto alla natura umana in se stessa, ossia in quanto si distingue da quella animale. La natura specificamente umana è fatta di centralità e di totalità e, perciò, d’oggettività, questa essendo la capacità d’uscire da se medesimi e quella di concepire l’assoluto.

In primis oggettività dell’intelligenza: capacità di vedere le cose quali sono in sé; dopo oggettività della volontà, donde il libero arbitrio; e infine oggetività del sentimento, o dell’anima se si preferisce: capacità di carità, d’amore disinteressato, di compassione. Noblesse oblige: il ‘miracolo umano’ deve avere una ragion d’essere proporzionata alla sua natura e questo predestina — o condanna — l’uomo a superarsi; l’uomo è per intero se stesso solo superandosi. Paradossalmente soltanto trascendendosi l’uomo si colloca sul proprio piano; nello stesso modo quando rifiuta di trascendersi si pone sotto all’animale che — con la sua forma e la sua maniera di contemplatività passiva — partecipa in modo adeguato e innocente a un archetipo celeste; in una certa visuale l’animale nobile è superiore all’uomo vile.


Frithjof Schuon, Il Senso dell’Assoluto, Edizioni Mediterranee, Roma, 2018, p. 43.

Foto: Sri Anandamayi Ma (1896 – 1982)