L’uomo è come sospeso tra il Cielo e la terra, o tra il Principio e la manifetazione universale, cosa che lo destina a vivere in due dimensioni: da un canto ha in modo esistenziale il diritto di fare l’esperienza dei doni della natura, diversamente la condizione umana terrestre non avrebbe contenuto positivo; ma dall’altro ha il dovere spirituale di rinunciare all’eccesso, se no perderebbe la sua relazione con la dimensione celeste e pertanto la sua salvezza. Ciò significa che l’uomo può, e deve, essere a un tempo “orizzontale” e “verticale”, l’antinomia che ne consegue è lo scotto dello stato umano, porta dell’immortalità beata.

Quindi, al contrario de un idealismo soltanto ascetico per il quale il solo principio sacrificale è spiritualmente efficace, la dimensione celeste è pure nella nobiltà e profondità della nostra maniera di percepire e assimilare i fenomeni positivi; questa prospettiva trova la sua giustificazione nella trasparenza metafisica dei simboli e nel mistero d’immanenza, e altrettanto nella deiformità innata dello spirito umano. Ma, essendo, sulla terra, non possiamo uscire dalle limitazioni della condizione terrestre: se è vero che il mondo manifesta il Cielo, in pari tempo se ne allontana; non possiamo sfuggire a tale ambiguità della creazione.


Frithjof Schuon, La Trasfigurazione dell’Uomo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2016, p. 87.